Il parco botanico di San Grato, nel territorio urbano di Carona, si snoda verso la sommità del Monte San Salvatorei una maestosa raccolta di affascinanti visioni paesaggistiche e nel susseguirsi di immagini delle vette alpine e prealpine, Nei mesi primaverili ed estivi, l’assemblaggio di nobili conifere d’alto fusto con aiuole accuratamente rasate e vivacizzate dall’imponente fioritura di azalee e rododendri, consente al turista di fruire di magiche e profumate suggestioni.
Lungo il sentiero, quasi per impreziosirne anche gli aspetti formali e nel ricordo delle gloriose discendenze artistiche di Carona e di altri paesi di lago, mani sapienti hanno collocato una serie di 21 sculture (di grande e medio formato) di altrettanti artisti ticinesi; sculture che, fra tre anni, verranno sostituite da nuove immagini destinate a consentire ad altri scultori di usufruire di spazi attraenti e di proporre a un gran pubblico i simboli della loro creatività. Fra le opere in mostra, anche quelle del sessantacinquenne Dario Verda, autodidatta di famiglia discendente dalla stirpe dei Verda originari di Gandria e trasferitisi verso la metà del Cinquecento a Campione.
Dario Verda è attivo in una fiorente azienda di trasporti e scavi creata dal padre, negli anni trenta, a Campione. E dedica all’impresa dinamismo, sacrifici di lavoro non indifferenti e dedizione esemplare. Una vita trascorsa, quindi, sui cantieri: tra ferro e acciaio, fra metalli poveri, a contatto con macchine e meccanismi.
La grande scultura di Verda, collocata in un slargo del sentiero paesaggistico, è dedicata, come dice il titolo, a “reminiscenze di virilità”, con allusioni sottilmente ironiche e mai volgari che si avvalgono di una serie di eleganti simbologie. Il tutto nell’interpretazione del motto, coniato dall’artista: “anni di esperienza, anni di sapienza”.
Lo scultore-imprenditore ha scoperto, dunque, nell’inanellarsi degli anni d’esistenza, il piacere di predisporre, con meditati interventi di forme e con accostamenti di ombre e di luci, immagini talvolta festaiole e tal altra tormentate che nascono quasi sempre dalla sapiente utilizzazione di frammenti, rigorosamente geometrici, del profilato metallico a doppio T denominato “putrella”.
Molte di queste figure, concepite in esemplare unico, popolano il simpatico atelier di Verda, alimentando un sentimento di sottile confusione e rammentando all’uomo moderno, assillato dagli eventi farraginosi e talvolta tragici del nostro tempo, l’opportunità – come annota il facitore – di “forgiare” e di dedicarsi a salutari momenti di autocritica.
Fra le varie immagini vorrei ricordarne alcune che mi hanno particolarmente colpito e intrigato. Come ad esempio, il Rendez-vous del 1986 dedicato a due personaggi stilizzati che si incontrano e si apprestano a scambiarsi un caloroso saluto. Oppure El diablo lucifero (datato 1996) che nelle feroci simbologie dell’inferno, nei penetranti e gelidi occhi del demonio e nella perfetta armonizzazione di fattezze e di forme documenta – come scrive Verda – “la forza occulta che al peccato e lascia al momento, senza fiato”. Sornione e dallo “Sguardo insistente che mette in suggestione”, l’Hroch (datato 1996). Simpatico, nel suo “moto perpetuo”, il Tamburino sardo (1999) che rimemora Aniceto, l’anziano suonatore di tamburo della banda campionesse. E infine, lo scanzonato e filiforme personaggio (1999) che saluta scappellando con “falsa cortesia”, sembra voler criticare l’invadenza dell’uomo protesi a compromettere la sua deliziosa pace agreste.
Come si addice alla genesi di ogni sofferta raffigurazione plastica, Dario Verda antepone alla realizzazione vera e propria dell’opera lo studio analitico della forma, nel ricorso a disegni e a schizzi che gli consentono poi di trasmigrare, dalla carta alla materia, impressioni e folgorazioni e di trasformarle – manipolando sovente le forme e modificando lo scopo primordiale dei materiali – in sembianze generose di significati umani.
All’accostamento artistico, Verda accoppia quello letterario commentando le suggestioni che promanano da ogni piccola opera, attraverso brevi e graffianti riflessioni scritte. Nascono così decine di foglietti che popolano, con piacevoli contrasti, un’intera parete coperta da pannelli in legno di noce e che – come già detto più sopra – consentono all’autore, di esternare le sue opinioni sui significati palesi o reconditi del piccolo universo vivacizzato dalle sue creature. Queste in breve, le caratteristiche essenziali della missione artistica che Dario Verda asseconda con discrezione e con afflati creativi che a me sembrano forieri di successi e si futuri appaganti.
0 comments on “Sui singolari sentieri creativi dello scultore Dario Verda”